martedì 7 settembre 2010

Stephen King, Una splendida festa di morte: la rat-censione


Per Jack Torrance il posto di custode invernale dell'Overlook Hotel è un'occasione unica per lasciarsi alle spalle un passato burrascoso: ex alcolizzato, ex insegnante, Jack ha perso il lavoro e la fiducia di sua moglie Wendy a causa dei violenti scatti d'ira che l'hanno portato, tra le altre cose, a ingaggiare una rissa con un suo (ex) studente e a picchiare il figlio Danny, al quale ruppe un braccio durante una lite familiare.
Nonostante la posizione isolata e il clima molto rigido della regione non rendano l'albergo il luogo ideale di villeggiatura, i Torrance si trasferiscono quindi per tutta la stagione invernale all'Overlook, hotel dal passato tanto illustre quanto tragico. Un passato che non tarda a riaffiorare tra i corridoi e le stanze dell'albergo e a farsi strada nella mente del piccolo Danny, dotato di potenti capacità precognitive, e in quella di Jack, il cui precario equilibrio psichico viene messo alla prova da forze che non sarà in grado di arginare.
La situazione, come è facile intuire, è destinata a precipitare, e le terribili presenze che abitano l'Overlook trascineranno la famiglia Torrance in un vortice di violenza, sangue e follia.

Shining (il titolo della mia edizione è troppo lungo per essere scritto due volte nello stesso post) è un buon romanzo, molto efficace nel rappresentare un'escalation di terrore psicologico di grande impatto emotivo, ma non certo esente da difetti, ascrivibili in gran parte a un ritmo troppo blando nelle battute iniziali e centrali e a un certo schematismo di fondo rintracciabile in alcune situazioni narrative.

Se da un lato appare già evidente il talento dell'autore (qui alla sua terza prova dopo Carrie e Salem's Lot) nel tratteggiare le figure infantili, che assumeranno importanza sempre più centrale nei futuri romanzi, e nella gestione delle situazioni più classicamente “horror”, due tra le migliori frecce all'arco dello scrittore del Maine, è altresì vero che tale abilità non sempre si riflette, per esempio, nella caratterizzazione di altri personaggi, che spesso soffrono di una certa bidimensionalità di fondo, o nel bilanciamento dei tempi della narrazione, che a volte tendono a dilatarsi inutilmente.

Accade così che, nel tentativo di dare profondità alla figura di Jack, l'autore si dilunghi in una certa giustificazione e banalizzazione del suo background e del suo conflitto interiore. L'effetto è contrario a quello voluto: rispettando per filo e per segno il cliché dell'ex ubriacone violento e poi (non del tutto) redento, il Jack delle prime duecento pagine sa un po' di macchietta, e tra le righe è possibile scorgere le tracce di un copione che il lettore ha ben chiaro fin dalle prime pagine. Le insistite e ripetute spiegazioni del perché e del percome, del dove e del quando, alla lunga stancano.

Quello dell'eccessiva necessità di dire, di spiegare (show, don't tell!), è un problema che King si trascinerà dietro negli anni a venire: nonostante la sua scrittura abbia ormai raggiunto completa maturazione, anche nei suoi romanzi più ispirati e meglio scritti (non sempre coincidenti) ci si imbatte qua e là in descrizioni, dialoghi e situazioni che sanno un po' di preconfezionato, di scontato. Un retrogusto in un certo qual modo consolatorio che mal si adatta al talento di uno scrittore dotato di una fantasia e di una capacità affabulatoria fuori dal comune. King è un fiume in piena: spetterebbe a un buon editor il compito di arginarne l'impeto creativo e di indirizzarlo verso situazioni più nelle sue corde.

Confesso di essermi annoiato a leggere la prima metà del romanzo: se su 427 pagine più di 200 sono dedicate all'antefatto, alla spiegazione, a tratti al superfluo, i conti non tornano. Per fare un esempio concreto, la parte dedicata alla “crisi creativa” di Jack, che non riesce a portare a termine la stesura di una commedia iniziata anni prima, sarebbe ampiamente sforbiciabile, così come risulta in fin dei conti trascurabile nell'economia del romanzo l'intenzione di Jack di divulgare i torbidi segreti dell'Overlook e degli scomodi clienti che vi hanno alloggiato nel corso degli anni.

E' chiaro che il vero protagonista del romanzo è l'Overlook stesso, la sua presenza, gli inconfessabili segreti che cela e il terribile potere che esercita su coloro che ne subiscono l'influenza: in fin dei conti, ciò che accade fuori dalle mura dell'Hotel assume importanza secondaria.

Sono comunque difetti minori, che non inficiano più di tanto la qualità complessiva e la godibilità di un romanzo che presenta anche molti punti di forza. Punti di forza che si concentrano nella seconda parte, dove King, perfettamente a suo agio nell'accompagnare per mano Jack nella sua discesa verso la follia omicida e il piccolo Danny nel suo personale incubo visionario, molla finalmente il freno a mano e apre le diaboliche danze del terrore. E' qui che la figura di Jack si scrolla di dosso gli abiti del cliché per vestire, complice la successiva, straordinaria interpretazione di Jack Nicholson, quelli di uno dei personaggi più azzeccati mai usciti dalla penna dello scrittore. Indimenticabile il dialogo con il fantasma dell'ex custode omicida, l'implacabile furia mentre, ormai del tutto succube del potere dell'albergo, insegue la moglie Wendy (Troia [...] Lo so cosa sei: una puttana [...] Ora. Ora, perdio, credo proprio che adesso prenderai la purga!), la voce stridula che risuona per i vuoti corridoi dell'Overlook (Danny! Vieni qui, cucciolo. Vieni qui a prendere la purga da bravo ometto!) mentre dà la caccia al figlio.

Ma non sono le uniche situazioni che rivelano tutta l'abilità di King nel trasferire su carta il terrore puro, quello generato dalle nostre paure più profonde e irrazionali, quello che congela i movimenti e strozza l'urlo in fondo alla gola. Emblematica in tal senso la scena in cui Danny, bighellonando per il campo giochi innevato, si infila in un lungo tunnel per poi ritrovarsi rinchiuso al suo interno, la neve che, improvvisamente franata, ne blocca le due uscite, il disperato tentativo di liberarsi scavando all'impazzata, mentre il panico annebbia la vista e un orribile rumore strisciante si avvicina sempre più dal fondo del tunnel...
Insomma, Shining convince solo in parte, ma dove convince lo fa molto bene. E c'è un'altra cosa che fa molto bene, quella di anticipare un altro, futuro fardello che King si trascinerà dietro per gran parte della sua fortunata carriera: la scarsa predisposizione per i finali.

2 commenti:

abo ha detto...

L'ho letto parecchio tempo fa, quindi più di tanto non posso commentare.
Ricordo però che ai tempi non lo considerai uno dei migliori di King che avevo letto, quindi probabilmente rileggendolo gli farei critiche simili a quelle fatte da te.

Ps: addio al ratto japan-style? Mi ci ero affezionato...

Re Ratto ha detto...

Purtroppo quello japan-style era un template statico, praticamente immodificabile, a meno di non andare a smanettare direttamente nel codice (ci ho provato, ma i risultati non erano soddisfacenti).
Questo invece è un template "ufficiale" di blogger, molto più malleabile e personalizzabile.